Il sindacato fa breccia in Usa ed espugna anche Apple

Il sindacato fa breccia negli Usa e addenta anche Apple, ultima di una serie di grandi aziende a vedere la nascita di una ‘union’ di lavoratori, dopo Amazon e Starbucks, confermando un trend nazionale che comincia a preoccupare la Silicon Valley ma anche i negozi al dettaglio e i ristoranti.

Un fenomeno nuovo, in controtendenza dopo una lunga crisi di iscritti e di rappresentanza, maturato negli anni della pandemia, quando le aumentate insicurezze e disuguaglianze socio-economiche hanno acuito tra i lavoratori la necessità di unirsi per contrattare salari, benefit, organizzazione dei turni, congedi parentali, misure di sicurezza anti Covid.

Una tendenza avversata dai datori di lavoro anche con minacce e intimidazioni, ma incoraggiata da Joe Biden, che si definisce il presidente “più pro sindacati” della storia Usa.

La svolta alla Apple è avvenuta in un negozio di Tonwson, nell’area di Baltimora, in Maryland, dove 65 dipendenti su 98 hanno votato a favore della richiesta di creare un sindacato (basta il 30% delle firme dei dipendenti), il primo del colosso hi-tech in Usa.

La nuova Apple Core union – abbreviazione di coalizione dei dipendenti organizzati del settore al dettaglio – aveva scritto una lettera aperta in maggio al ceo Tim Cook spiegando che il suo obiettivo era di “ottenere accesso ai diritti che ora non abbiamo”, senza tuttavia “andare contro o creare conflitti con il nostro management”. “Una vittoria storica, che mostra una crescente domanda di unions nei negozi Apple e in differenti industrie della nostra nazione”, ha commentato Robert Martinez, presidente della International Association of Machinists and Aerospace Workers, il sindacato che sosteneva l’iniziativa e al quale aderirà la nuova ‘union’ di lavoratori Apple. La speranza è quella di aver aperto la strada agli altri oltre 270 negozi in Usa. Due store, a New York e ad Atlanta, si sono già mossi nella stessa direzione ma nella capitale della Georgia l’iter è stato posticipato dopo le accuse alla società di attività antisindacali. Attività che accomunano più o meno tutte le grandi aziende, che cercano di intimidire o scoraggiare i dipendenti dal creare sindacati, anche minacciando la perdita di benefit. Come ha fatto il Ceo di Starbucks Howard Schultz, che ha ventilato di concedere i prossimi vantaggi solo ai lavoratori non iscritti ai sindacati, dopo che in dicembre è nata la prima union in un locale di New York contagiando il resto della catena. In aprile invece è toccato ad un magazzino di Amazon, sempre nella stessa città. Ma il movimento sindacale ha espugnato anche altri campi, come la rete di negozi di prodotti indoor Rei, il produttore di videogiochi Raven Software, le riviste Condé Nast ‘New Yorker’ e ‘Wired’.

Una battaglia sostenuta apertamente non solo dal senatore socialista Bernie Sanders ma anche da Biden, che non a caso in maggio ha ricevuto alla Casa Bianca il coraggioso fondatore del primo sindacato Amazon e altri suoi colleghi di colossi americani. “Questo Paese è stato costruito non da Wall Street ma dai sindacati, che hanno creato la classe media”, ha spiegato il presidente, denunciando l’ulteriore arricchimento dei paperoni durante la pandemia “mentre gli americani erano in fila per il cibo”. “Un’amministrazione controllata dai sindacati”, ha accusato Elon Musk, uno dei paperoni che osteggia le unions nella sua Tesla. Anche se molto meno diffusi che in Europa, i sindacati stanno tuttavia tornando in auge, svelando un’America meno individualista e più desiderosa di un lavoro non a tutti i costi ma dignitoso.

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